La musicalità, come tanti altri parametri dell'esecuzione musicale, viene spesso definita in modo soggettivo e personale.
Volendo riassumere in poche parole, io con "musicale" intendo generalmente un'esecuzione resa interessante e coinvolgente dal musicista.
Un'esecuzione, a mio parere, risulta tanto più musicale quanto più riesce a rendere partecipe il pubblico; un musicista che suona solo per sé stesso, magari anche benissimo, può risultare alla lunga noioso e distaccato, mentre se ci mette del suo e non ha paura di mostrarsi può raggiungere ottimi risultati.
Queste affermazioni, che potrebbero risultare ripetitive a chi avesse letto i miei post precedenti, sono per mia fortuna confermate dalla realtà dei fatti: basti pensare alle serate dei Mnozil e dei Gomalan Brass, che più che semplici concerti sono dei veri e propri spettacoli. Vedere per credere.
Personalmente, sono piuttosto restio a considerare la musicalità come una qualità innata nel musicista (come qualsiasi altra virtù del resto), e sono più propenso a ritenerla, per le ragioni che esaminerò, un'abilità a tutti gli effetti che come tale va sviluppata e allenata come tutte le altre.
Il punto di partenza è costituito dalla personale concezione della musica che nasce, si sviluppa, si evolve e cambia nel corso di tutta la vita del musicista con le diversissime esperienze vissute. Per "esperienza" non intendo riferirmi solo alle varie esecuzioni dal vivo della propria carriera artistica ma anche al percorso di studi, attività didattiche, ascolto di tantissima musica, vita sociale e privata ecc.; insomma, tutto ciò che costituisce il mondo interiore di ogni individuo.
Personalmente ritengo che per formulare un'adeguata concezione della musica sia necessario avere un minimo di conoscenza di storia della musica (con particolare attenzione sulla pratica esecutiva del passato), di armonia, di forme musicali, degli altri strumenti, di vari tipi di organici e di generi musicali; in poche parole, l'ossatura teorica che forniscono attualmente i Conservatori italiani dopo la riforma che tanto è stata osteggiata e criticata dalla massa di studenti perché "tolgono tempo allo studio dello strumento".
Invece io benedico questo aspetto della riforma perché, usufruendone, ho capito che a ben poco serve padroneggiare uno strumento se poi musicalmente si suona tutto uguale e poi per una vita si cerca di capire come mai non si riesce a fare la carriera che si desidera.
A ben vedere, molti musicisti importanti hanno un'ottima preparazione teorica grazie alla quale si sono fatti un nome; il problema è che pochissimi ne fanno cenno anche ricevendo cifre piuttosto alte per elargire lezioni private: cosa, a rifletterci, che ha anche una sua logica dato che se le persone rivelano i loro "segreti" in favore degli allievi poi temono di perdere il loro "prestigio", di stare a casa e di passare in secondo piano in favore del nuovo che avanza perché non in grado di continuare a mettersi in gioco e competere. Allora meglio non dire nulla di costruttivo agli allievi ma insistere su concetti vecchi, vecchissimi, anzi ormai largamente estinti.
Ed ecco che "magicamente" 98 studenti su 100 concepiscono la musica esclusivamente come abilità tecnica e non come abilità musicali-interpretative da sviluppare anche, e non solo, con un'adeguata preparazione tecnica. L'abilità musicale e l'abilità tecnica sono complementari e comunque a ben poco serve disporre solo di una di queste.
Purtroppo, però, ai poveri allievi di Conservatorio si parla quasi solo di tecnica, tecnica, tecnica, tecnica e, se rimane un po' di tempo, di tecnica.
C'è poco da meravigliarsi se poi un trombettista suona Quadri di un'esposizione come una sinfonia di Bruckner, un cornista un concerto di Mozart come Strauss, un tubista le parti antiche di oficleide come il miglior cimbasso di Verdi per non parlare di cari colleghi trombonisti.
Certo, non c'è nulla di sbagliato a suonare come sopra, ma un buon musicista dotato di sensibilità e rispetto non commette questi delitti storici e l'ascoltatore preparato se ne accorge.
Un buon modo per sviluppare una buona musicalità, per quanto riguarda gli studi e gli esercizi di tecnica, è di concepirli musicalmente; anche una semplice scala con arpeggio va concepita in questo modo, perché è così che va poi eseguita nella cadenza di un concerto solistico. Fare tutte le note di una scala senza errori va bene, ma è meglio dar loro una direzione e un'intenzione: suonerà diversamente anche a chi non comprende nulla. Come diceva Jacobs, gli esercizi di tecnica non sono flessioni e, aggiungo io, non devono risultare noiosi ma divertire anche chi magari non ne capisce niente.
Invece, per quanto riguarda gli studi melodici, i concerti solistici, i passi d'orchestra, insomma, tutto ciò che rappresenta il repertorio "effettivo" che si propone al pubblico, il modo migliore per essere musicali è, a mio parere, determinare e capire la volontà e l'intenzione del compositore, in modo da farla propria ed esprimerla adeguatamente mettendoci qualcosa di proprio.
In questo senso è ovvio che lo studio della parte non è sufficiente e bisogna svolgere ulteriori ricerche.
E' questo (non mi stancherò mai di dirlo) ciò che fanno i grandi musicisti, a differenza dei grandi strumentisti che si limitano a suonare perfettamente ciò che è scritto senza metterci nulla nelle note per poi girare il mondo a "contagiare" migliaia di studenti.
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